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D'Amelio scrive al direttore de L'Eco di Bergamo

“Caro Direttore,

Le chiedo scusa se, in queste ore di mestizia e sofferenze per la città di Bergamo e di tutta la Lombardia, sottraggo un po' di spazio al suo giornale. Avverto l'elementare bisogno umano e il dovere, in qualità di ex Sindaco della Città di Lioni nonché di Presidente del Consiglio regionale della Campania, di esprimere a Lei, a tutta la redazione e a tutti i cittadini di Bergamo e provincia la calorosa vicinanza mia e di tutte le genti della Campania, in particolare dei miei concittadini di Lioni. Lioni, una città che serba ancora nel cuore le immagini, le scene e la bellezza di quello straordinario moto di solidarietà del suo giornale e dei bergamaschi che 40 anni fa, epoca del devastante terremoto dell'Irpinia, ci fecero sentire e capire di quanta gentilezza, generosità e solidarietà è fatta la gente bergamasca. Per la città di Lioni e per tutta l’Irpinia, costrette a seppellire in una fossa comune centinaia e centinaia di vittime del terremoto, furono giorni amari, tristi e dolorosissimi; giorni, e vi saremo sempre grati, che furono addolciti dalla vostra solidarietà. Il suo giornale, infatti, promosse una raccolta fondi e tanti bergamaschi, con il loro sudore e le loro fatiche, impiantarono un pallone pressostatico, all'interno del quale venivano distribuiti i pasti e si svolgevano le angoscianti sedute del Consiglio comunale, e donarono, per i cittadini sprovvisti del diritto ad accedere ai fondi per la ricostruzione, 50 alloggi, tuttora occupati. Ho rivolto lo sguardo e la memoria all'indietro semplicemente per dirvi che riuscimmo a superare quell'incubo, imparagonabile con quello che oggi stanno vivendo i cittadini della Provincia di Bergamo, grazie anche ai vostri insegnamenti. Ci insegnaste, infatti, che non c'è notte che duri per sempre e che la vittoria, anche contro questo maledetto virus, (perché vincerete, perché vinceremo), è di chi sa soffrire. E' necessario, ci faceste capire, che bisogna, con il dolore nel cuore, sapere rimettere insieme i cocci di tutto quello che oggi sta andando in frantumi, non con prodotti miracolosi, quelli che scioccamente promettono di riparare tutto senza che si veda il taglio delle ferite, ma con la purezza del cuore che unisce ciò che è andato in pezzi e non se ne vergogna affatto, anzi: Bergamo, dopo che passerà questa notte buia, brillerà di più perché ha sofferto di più e riacquisterà, se mai fosse possibile, un valore e una dignità ancora più elevate d'oggi. Con la memoria di quei giorni del terremoto e con il forte ricordo della vicinanza del giornale da Lei diretto, aderisco con un personale gesto di solidarietà alla vostra iniziativa "Abitare la cura". Il mio patrimonio di fede e di credente mi impone ogni giorno, ogni sera, di accompagnare la città di Bergamo con la preghiera e con la speranza cristiana, affinché quanto prima la medicina e la scienza possano fermare il virus e si possa ritornare ad una serena vita quotidiana. Mi muove la speranza cristiana che non solo è un desiderio che si apre al futuro, ma non delude mai in quanto affonda le sue radici nell'amore per l’altro. Un caloroso abbraccio e tanti, tanti ma tanti auguri di uscire presto, insieme a tutta l'Italia, a riveder le stelle”.

 

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