Le radici dell'economia civile: le intuizioni di Antonio Genovesi
Questo osservatorio non nasce in Campania per caso. Proprio nel capoluogo di questa regione nacque e operò nel diciottesimo secolo Antonio Genovesi, economista e filosofo, che nel 1765 diede alle stampe il volume “Lezioni di commercio o sia di economia civile”, un testo strettamente collegato all’humus culturale di una città a quei tempi considerata una delle capitali dell’illuminismo europeo.
Con quell’importante volume Genovesi contribuiva a dare i natali a una nuova scienza – l’economia - che solo undici anni dopo avrebbe visto con la pubblicazione del celebre saggio di Adam Smith (An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations), destinato a orientare gli sviluppi di questa disciplina emergente verso una prospettiva “politica”, in cui il perseguimento del bene comune appariva come la conseguenza spontanea dell’operare della “mano invisibile” di un mercato capace di produrre una somma positiva delle scelte egoistiche degli individui.
Questa visione, che rifletteva la cultura calvinista dello studioso scozzese, si è imposta nel tempo come quella paradigmatica, favorendo il fiorire di una ricca letteratura culminata nei modelli dell’economia neoclassica e, più di recente, negli eccessi del neoliberismo. Proprio questi eccessi ci stanno rivelando oggi la fragilità di questa fiducia cieca negli effetti benefici del mercato e nella convinzione che il benessere collettivo possa essere la conseguenza naturale del libero sfogo di tanti atti di egoismo individuale.
Si sente sempre più il bisogno di una nuova chiave di lettura dei fenomeni economici, che parta da una diversa concezione antropologica per fondare un modo innovativo di fare economia. E, come spesso capita, quando si cercano spunti per sperimentare strade di innovazione, il passato sembra offrirci preziose basi di riflessione che in questo caso trovano proprio nel pensiero di Antonio Genovesi la loro radici più solide.
Le intuizioni dello studioso napoletano ci portano, infatti, verso un nuovo paradigma di economia che trova nell’aggettivo “civile” il suo elemento qualificante, in cui le relazioni fra le persone non sono più basate su logiche meramente atomistiche e competitive, ma vivono di valori profondamente radicati nella tradizione umanistica italiana come la reciprocità, la ricerca consapevole del bene comune, il senso della comunità, il rispetto per l’ambiente, la tutela dei soggetti più fragili.
Il mercato resta il riferimento principale, ma la legittima ricerca del profitto viene contestualizzata in una prospettiva più equilibrata che restituisce centralità alle persone e alla comunità, nella convinzione che il bene dei singoli sia sempre il riflesso di un benessere diffuso. Non si tratta di una visione ingenua e utopistica, ma del recupero di una dimensione più sociale e meno meccanica dell’economia, che appare di grande attualità proprio ora che si stanno scoprendo i limiti connessi alle derive della globalizzazione o della finanziarizzazione del sistema economico.
Di fronte a problemi drammatici come l’incremento della povertà, l’accentuazione delle diseguaglianze, il riscaldamento globale, la devastazione dell’ecosistema, l’esasperazione degli egoismi nazionalisti e localistici, occorrono risposte nuove. E l’economia civile può essere questa risposta.
Può esserlo grazie ai processi di elaborazione teorica che, come Antonio Genovesi, stanno finalmente aprendosi a chiavi interpretative alternative rispetto al mainstream che mettono in discussione i dogmi dell’economia neoclassica. Ma può esserlo soprattutto grazie all’emergere di esperienze e prassi che di queste nuove prospettive teoriche rappresentano una declinazione concreta e tangibile, come le imprese sociali, il mondo della cooperazione, il terzo settore, la finanza etica, l’economia circolare, ma anche, più generalmente, l’attenzione con tutte le aziende guardano temi un tempo marginali come la sostenibilità o la responsabilità sociale d’impresa.
L’Osservatorio per lo studio, la ricerca e la promozione dell’economia civile del Consiglio Regionale della Campania intende svolgere un ruolo ventrale per intercettare, analizzare e sostenere queste realtà, nella convinzione che questi nuovi modelli culturali possano contribuire a produrre un più ampio benessere collettivo.